Cipro, funziona la mediazione di Kofi Annan
La parte greca e la parte turca di Cipro hanno accettato
la mediazione di Kofi Annan per la riunificazione
dell'isola. In caso di mancata intesa, il primo maggio
soltanto la prima entrerebbe nell'Ue. Il Segretario
delle Nazioni Unite ha reso pubblico il calendario
delle negoziazioni. Lo cita Le
Mond. Il 19 febbraio riprendono a Nicosia le trattative
dirette tra le parti, alla presenza di Alvaro de Soto,
il consigliere speciale di Kofi Annan per Cipro. Entro
il 22 marzo dovrebbe essere presentato un testo. In
caso contrario Kofi Annan convocherebbe un incontro
tra i dirigenti ciprioti delle due parti con la partecipazione
della Grecia e della Turchia, con l'obiettivo di presentare
un testo entro sette giorni. Se fallisse anche questo
passaggio, il Segretario generale dell'Onu metterebbe
a punto, sulla base del suo piano, un testo che sarebbe
sottomesso a referendum, da tenersi forse il 21 aprile
o comunque prima dell'ingresso di Cipro nell'Unione.
I dirigenti ciprioti greci avevano chiesto la partecipazione
dell'Ue alle trattative, ma i ciprioti turchi si sono
opposti.
Il commissario all'allargamento, Guenter Verheugen,
aveva giö annunciato : "La Commissione non ha mai
preteso d'avere un ruolo ufficiale in queste discussioni.
Se la s'invita a questo ruolo, ² necessario che tutte
le parti siano d'accordo". Decisamente soddisfatto
e ottimista Romano
Prodi: "Le possibilitö di pervenire ad un accordo
globale non sono mai state cosÒ grandi - ha commentato
il Presidente della Commissione - Non c'² posto nell'Unione
europea per fili spinati e campi minati".
Budget dell'Unione, un serbatoio vuoto
L'Ue ha bisogno di fondi per affrontare l'allargamento
del primo maggio. Lo spiega con chiarezza The
Guardian. Il Presidente della Commissione Romano
Prodi, nel documento sulle "prospettive finanziarie"
per il periodo 2007-2013 presentato il 10 febbraio,
propone di incrementare il budget da 100 a 143 miliardi
di euro per anno. L'aumento ² giustificato dall'arretratezza
dei dieci nuovi membri, ma trova l'opposizione dei
membri che giö ora sborsano di pið, tra cui la Gran
Bretagna. Il cancelliere Gordon Brown ha invitato
Prodi a lasciar da parte il progetto e a tagliare
invece le spese, cosicch³ The Guardian prevede "un
duro braccio di ferro da ora alla fine delle negoziazioni".
Il Presidente dell'Europarlamento Pat Cox, citato
in un altro articolo dello stesso giornale laburista,
ha assunto anche stavolta una posizione europeista:
"Non possiamo guidare l'ambiziosa Europa di domani
con un serbatoio vuoto".
Il francese Liberation
ha raccontato il duello schierando da una parte i
"tirchi" e dall'altra i "vecchi e nuovi poveri". I
primi, il "gruppo dei sei" (Francia, Germania, Gran
Bretagna, Svezia, Austria e Olanda), il 15 dicembre
avevano anzi inviato a Prodi una lettera (non firmata
dall'Italia) in cui chiedevano che le spese comunitarie
non superassero l'1% del Pil, l'attuale limite. Per
loro ha parlato Hans Eichel: "Non si pu÷ dire alla
Germania, da una parte, che bisogna fare economia
e ridurre le spese - si ² lamentato il ministro delle
Finanze tedesco - e dall'altra di pagare di pið per
Bruxelles". La Germania contribuisce attualmente per
il 25% del budget, la Gran Bretagna del 14,5% e la
Francia, che vedrö presto ridotti i propri contributi
Pac, del 16%.
N³ con Sharon n³ con Arafat
La politica dell'Europa sul conflitto israelo-palestinese
² stata negli ultimi anni un bersaglio facile per
gli anti-europei e gli euroscettici. Il coraggio con
cui Prodi e Solana, ma anche Francia e Germania, hanno
spesso difeso le ragioni della parte palestinese ²
stato pið volte duramente criticato. La posizione
pið filopalestinese dell'Unione, tuttavia, non solo
² servita a bilanciare il netto appoggio a priori
degli Stati Uniti alla politica di Israele, ma ha
subito negli ultimi tempi un certo ridimensionamento,
dovuto soprattutto all'ondata di antisemitismo che
si ² abbattuta sul vecchio continente e alla sempre
maggiore ambiguitö del leader dell'Anp Yasser Arafat.
Oggi, a guardar bene, la politica dell'Unione ² molto
chiara. Da una parte c'² un sincero impegno a contrastare
le varie forme dell'antisemitismo (come abbiamo visto
nel numero
scorso) e, dopo la bella iniziativa presa da Frattini
il 6 settembre scorso, la volontö di evitare a tutti
i costi che i finanziamenti dell'Unione finiscano
nelle mani dei terroristi di Hamas. Dall'altra c'²
la condanna della politica di Ariel Sharon.
Quanto ai finanziamenti ai palestinesi, The
Guardian segnala che pubblici ministeri francesi
hanno aperto un'inchiesta sul riciclaggio di denaro
su traferimenti sospetti di 9 milioni di euro in conti
di banche parigine intestati alla moglie del leader
palestinese Yasser Arafat. Investigatori dell'ufficio
anti-frode dell'Ue sono intanto a Gerusalemme per
verificare l'accusa secondo cui parte degli aiuti
annuali concessi dall'Unione ai palestinesi (circa
350 milioni di euro) potrebbe esser stati usati per
fini diversi da quelli per cui l'Ue li aveva concessi,
come la corruzione o addirittura il terrorismo delle
brigate dei martiri di Al Aqsa.
Sulla politica di Sharon ² invece emblematico il recente
ed ennesimo viaggio in Israele di Joschka Fischer,
ministro degli Esteri tedesco e una delle voci pið
autorevoli della politica estera europea. Fischer,
come ha raccontato la Sueddeutsche
Zeitung, ha chiesto al suo omologo Silvan Shalom
che venga corretto il percorso del controverso muro
in Cisgiordania. Shalom si ² augurato un rafforzamento
del ruolo dell'Unione nel processo di pace, e Fischer
ha risposto che, anche nel caso in cui ci÷ avvenisse,
gli Stati Uniti manterrebbero la guida delle negoziazioni.
Paesi dell'est, democrazie accettabili ma
sistemi politici instabili
I nuovi membri dell'Ue sono mediamente degli Stati
di diritto stabili, ma le loro democrazie nascondono
degli ostacoli. E' il concetto chiave di un articolo
che la Sueddeutsche
Zeitung ha dedicato ai paesi dell'Est che stanno
per entrare nell'Unione. Martin Brusius, del Centro
di ricerca politica applicata (Cap) di Monaco di Baviera,
ritiene "le Istituzioni democratiche sufficientemente
accettabili e efficienti", ma vede delle mancanze
soprattutto nella loro cultura politica: "Manca un
sistema partitico ancorato alla societö". Kai-Olaf
Lang, della Fondazione Scienza e Politica (Swp), parla
invece di partiti forti e deboli: "Forti perch² stanno
al centro della scena politica, e deboli perch³ di
solito scarsamente equipaggiati a livello organizzativo
e finanziario". Secondo Brusius ² tipico dei paesi
dell'est "un paesaggio partitico frammentato e, soprattutto
in Polonia e Lituania, una grossa migrazione elettorale".
Fanno eccezione la Repubblica ceca e l'Ungheria, con
un certo numero di partiti relativamente stabili e
coalizioni durevoli. Le coalizioni fragili sono ovviamente
un fattore di instabilitö, come succede in Lettonia,
Slovacchia e Polonia, deove per la Sueddeutsche "sono
in pochi a credere in una lunga vita politica dell'impopolare
premier Leszek Miller". "C'² un problema con una nascosta
instabilitö del sistema politico polacco", ha commentato
il commissario all'allargamento Guenter Verheugen.
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